Gnocco fritto e gnocco ingrassato

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Nella zona di Modena e in tutta la provincia ma anche nei territori limitrofi e fino alle vicine città di Bologna e Reggio Emilia e anche fino a Parma, è molto diffuso il consumo di due golosi prodotti gastronomici: il gnocco fritto, talvolta chiamato crescentina fritta , e lo gnocco ingrassato, talvolta chiamato crescente.

Si tratta di due ricette semplici e molto antiche, immancabili nelle cucine delle case più ricche come in quelle delle case più umili del territorio e oggi ancora presenti nei menù di ristoranti ed osterie tipiche cosi come nei menu delle sagra locali e talvolta proposti anche nei ristoranti più raffinati

Ecco qui la ricetta di entrambe:

Gnocco fritto
Per lo gnocco fritto la ricetta prevede farina, strutto, un pizzico di bicarbonato e uno di sale, acqua o un po’ di latte per impastare
Le dosi consigliate per sei persone sono gr.500 di farina, gr.70 di strutto (o per chi non ama lo strutto, olio), 1 pizzico di bicarbonato e 1 di sale

Per preparare lo gnocco si impasta la farina con acqua o con latte fino ad ottenere un impasto omogeneo e sostenuto, che va poi lasciato riposare mezz’ora, A questo punto si tira l’impasto in una sfoglia sottilissima, che si taglierà con uno stampino rotondo o quadrato. Si porta a temperatura lo strutto o l’olio in una padella e si friggono i lembi di sfoglia girandoli da ambo i lati, fino a che non diventano gonfi e ben dorati.

Diffusissimo in tutte le cucine del modenese e dintorni, lo gnocco fritto si mangia con i salumi, il formaggio e comunque in qualunque occasione come sostituto del pane. Allo stesso modo si accompagna lo gnocco ingrassato
Questa è la ricetta dello gnocco ingrassato:
Gli ingredienti per sei persone sono: gr.500 di farina bianca, gr.100 di pancetta tritata fine o ciccioli o altri salumi tritati finemente, 1 cubetto di lievito di birra fresco, gr.250 circa di acqua frizzante tiepida, 3 cucchiai di olio, un pizzico di sale, un pizzico di zucchero.

Porre la farina a fontana e versarvi al centro il lievito di birra sciolto in poca acqua tiepida. Aggiungere gli altri ingredienti e impastare per dieci- quindici minuti. Mettere l’impasto a riposare per mezz’oretta e nel frattempo imburrare una teglia rettangolare dove andrà poi steso l’impasto alto almeno un dito o più. Lasciar lievitare in un luogo caldo per circa mezz’ora e poi infornare in forno già caldo a 180 gradi per un’altra mezz’oretta circa. a lungo fino ad ottenere un’impasto omogeneo, Fare sciogliere il lievito nell’acqua tiepida e versarlo al centro della farina posta a fontana sulla spianatoia. Aggiungere olio, sale , zucchero, pancetta e incorporali alla farina, quindi impastare per un quarto d’ora circa. Formare un panetto, appiattirlo con il palmo della mano e metterlo a riposare in una terrina coperta. Imburrare e infarinare una teglia rettangolare e stendervi la pasta in una sfoglia alta. Fare lievitare in luogo caldo per circa mezz’ora, quindi cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 30 minuti.

La colla viene fatta colare sulle cotte per la preparazione del borlengo
Con gli ingredienti con cui si prepara il gnocco fritto ma con l’aggiunta di acqua in modo da ottenere una pastella liquida da far cuocere quasi come una crepè in un’apposita teglia, dettta anche “cotta”, si ottiene il borlengo. Il borlengo è più tipico delle zone dell’Appennino modenese e può essere fatto anche con l’aggiunta di farina di castagne e uova. Viene servito spesso con rosmarino e con un condimento di lardo battuto con aglio e parmigiano.

Tigelle
Cunza di lardo battuto, aglio, rosmarino e parmigiano è anche il ripieno ideale per le tigelle, altra preparazione tipica dell’Appennino modenese. L’impasto delle tigelle è ancora una volta di farina, acqua, strutto o olio, talvolta lievito di birra. Le tigelle, oggi cotte fra due lastre di materiale refrattario con gli appositi incavi – sono dischi di diametro tra i 5 e i 15 cm, che una volta venivano cotte in appositi utensili dedicati.

Queste ricette sono legata al territorio fin dai tempi antichi e lo testimoniano le usanze locali e le trascrizioni storiche.

Con il titolo “Ricettario di un cuoco del XVIII secolo” è stata presentata a Finale Emilia la ricostruzione di antiche ricette del territorio finalese. A Finale Emilia è in corso la ricostruzione dopo il terremoto, giunto del tutto inatteso in una regione, l’Emilia, che era considerata ai margini del rischio sismico. Proprio nel bellissimo castello di Finale Emilia, che il terremoto ha gravemente danneggiato, che è stato presentato il manuale storico di cucina del 700, grazie ad un progetto di Sanfelice Banca Popolare e dell’autrice Elisabetta Barbolini Ferrari.

La ricostruzione è stata attenta e ha consentito di scoprire ricette che erano soprattutto legate al periodo delle feste e spesso erano legate alla produzione di dolci. Poiché per trascrivere le ricette occorreva soprattutto saper scrivere e in quegli anni pochi sapevano leggere e scrivere (solo gli appartenenti alle classi più abbienti o al clero) le ricette che ci sono state tramandate per iscritto sono soprattutto le ricette delle tavole delle classi più ricche e del clero.

Lo zucchero, ad esempio, che ha a lungo denotato la cucina d’elitè e che oggi è guardato con sospetto dai nutrizionisti per l’uso eccessivo che i prodotti industriali e l’eccessiva disponibilità quotidiana ci portano a fare , rientrava in molte di queste ricette, insieme alle uova e al burro.

Si tratta spesso di ricette un pò diverse da quelle che siamo abituati a comporre oggi e a volte anche i termini usati per indicare gli alimenti erano diversi da quelli utilizzati oggi, percui non sempre è risultato semplice risalire agli ingredienti originali. Alcuni ingredienti oggi non sono più di uso comune mentre altri come ad esempio la traduzione del termine sellero in sedano, sono risultati comprensibili solo alla luce di una ricostruzione attenta. Si riscoprono tuttavia grazie a ricostruzioni di questo tipo alcune tradizioni antiche, molte delle quali giunte ai giorni nostri.

Se la ricca cucina romana codificata da Apicio citava soprattutto l’uso di olio d’oliva, simbolo della civiltà agricola romana, il lardo e lo strutto invece già ai tempi dei romani erano legati maggiormente alla cucina povera e all’allevamento del maiale, proprio anche delle civiltà nomadi e barbare. I romani comunque non disdegnavano il consumo del maiale e proprio la valle padana, con la sua cultura celtica, ne era sin dall’antichità la massima produttrice fino ad arrivare a rifornire Roma. Insieme alla tradizione di allevamento del maiale vanno indietro nel tempo le ricette che ne derivano.

Non tutte e ricette sono mutate nei secoli, alcune ricette, come quelle della focaccia fritta sono rimaste pressochè immutate e si sono tramandate ai giorni nostri. Le crescentine fritte, o gnocco fritto, e le tigelle, sono infatti ancora oggi uno dei piatti tipici della tradizione culinaria di questa zona. Assaggiare le crescentine o meglio il gnocco fritto val bene un viaggio in questi territori del Modenese.

Nel libro “La cucina itlaiana” di Capatti e Montanari si sostiene nell’introduzione, il valore dell’identità come scambio. Scrivono gli autori: “L’Italia delle cento città e dei mille campanili è anche l’Italia delle cento cucine e delle mille ricette. La grande varietà di tradizioni gastronomiche , specchio di un’esperienza storica segnata dal particolarismo e dalla divisione politica, è l’elemento che maggiormente si impone agli occhi e al palato del visitatore , rendendo incredibilmente ricca e perciò attraente come nessun altra – oggi che la domanda di diversità e di sapori legati al territorio si è fatta particolarmente forte – la gastronomia del nostro paese.”

credits foto:
Tigelle
Borlengo preparazione goo.gl/2DSpbc
Gnocco fritto goo.gl/RRM3Mc

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