REG. UE N. 1169/2011: etichettatura dei prodotti alimentari

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Woman shopping in grocery store

Quello che le etichette non dicono; le zone d’ombra del diritto, tra sicurezza alimentare ed esigenze di mercato  

Le nuove disposizioni del Reg.Ue n.1169/2011 in materia di etichettatura alimentare, applicate  a partire dal 13 etichettatura prodotti alimentaridicembre 2014, salvo per l’articolo 9.1.l (etichetta nutrizionale), che sarà applicato a partire dal 13 dicembre 2016 e la parte B dell’allegato VI, applicato dal 1 gennaio 2014, hanno sollevato numerose polemiche. Al di là dell’opuscolo informativo del Ministero della Salute, l’avvocato pubblicista Daria Scarciglia, esperto di normativa alimentare, fa un’analisi delle zone d’ombra nel suo articolo sul mensile di FNOVI ed ENPAV  “30 giorni”

(Abstract): “L’esigenza di identificare, a mezzo di una qualche forma di contrassegno, il contenuto dei recipienti alimentari è antichissima. Già al tempo delle prime dinastie egizie, le anfore di terracotta recavano incisioni che indicavano la data di produzione e l’origine del vino. L’usanza si è poi affinata nel corso dei secoli e si legge già nelle cronache del medioevo, che i commercianti venivano puniti al pari dei ladri, quando colti ad imbrogliare sulle caratteristiche o sul peso degli alimenti che vendevano. L’era moderna ha certamente dato un’accelerazione fortissima, specialmente nel mondo occidentale, con la produzione di norme e regolamenti in ogni campo. Tra queste il REG. UE N. 1169/2011, ETICHETTATURA DEI PRODOTTI ALIMENTARI con la cui entrata in vigore si è certamente realizzato un ulteriore progresso nelle tutele del consumatore. Si legge infatti nei considerata in premessa a tale regolamento che “La libera circolazione di alimenti sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato interno e contribuisce in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei loro interessi sociali ed economici” e che “Per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano”. E infatti questo regolamento, operando una fusione della direttiva 2000/13/Ce, relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari, e della direttiva 90/496/Cee, relativa all’etichettatura nutrizionale, interviene su tutte le fasi della catena alimentare e si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale. Stabilisce principi generali di trasparenza al fine di impedire che il consumatore venga tratto in errore circa le caratteristiche dei prodotti, rafforza le responsabilità dell’Operatore del Settore Alimentare quanto alle informazioni fornite con le etichette degli alimenti e disciplina con molta precisione le indicazioni obbligatorie che devono essere riportate in etichetta.

Portrait of a happy young woman with her purchased grocery items in a cart

Nella sua specificità, il regolamento dell’etichettatura dei prodotti alimentari dedica grande attenzione al significato di ogni singola dicitura e ad un’ampia gamma di requisiti riguardanti non solo la sostanza ma anche la forma dell’informazione che deve arrivare al consumatore, definendo le leali pratiche di presentazione del prodotto, le informazioni obbligatorie, quelle complementari e quelle volontarie, nonché la loro disposizione sulla confezione del prodotto, i requisiti linguistici, i principi dell’etichettatura nutrizionale, la presentazione del prodotto e molto altro ancora, rendendo quasi impossibili eventuali fraintendimenti. Ad un occhio attento, infatti, non sfugge che aver regolamentato tutto non significa anche averlo fatto bene. Ad esempio, l’art. 26, “Paese d’origine o luogo di provenienza”, stabilisce che l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza è obbligatoria quando l’omissione di tale indicazione potrebbe indurre in errore il consumatore. L’art. 2, “Definizioni”, al comma 2 lettera g) ci dice che il luogo di provenienza (“qualunque luogo da cui proviene l’alimento”) non è il paese d’origine, per il quale rinvia al regolamento n. 2913/92/Cee, secondo cui il paese d’origine di un prodotto è il paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione. In termini pratici, questo significa che, sempre a titolo di esempio, il tonno pescato nella zona di pesca Fao 61, quella – per intenderci – più prossima alle acque contaminate dal disastro nucleare di Fukushima, lavorato ed inscatolato in Italia, può essere commercializzato con l’indicazione “Paese d’origine: Italia”. Pensiamo a tutti i prodotti alimentari trasformati e comprenderemo la portata di un simile scenario. Vero è che lo stesso regolamento, che definisce il paese d’origine come il paese dove è avvenuta l’ultima trasformazione, stabilisce anche che, qualora si ritenga giustificabile la presunzione che una trasformazione o una lavorazione occultino la reale provenienza di merci che, altrimenti, violerebbero le norme dell’Ue, l’origine del prodotto può essere contestata. Stabilisce inoltre che l’autorità doganale, in caso di seri dubbi, possa richiedere qualsiasi prova ulteriore alla normale documentazione, per accertare che l’origine indicata risponda alle regole stabilite dalla normativa comunitaria. In altre parole, al di là del fatto che quanto riportato in etichetta sia corretto, il diritto ci sta dicendo che si possono fermare tutti quegli alimenti che, almeno quanto alla loro reale provenienza, qualche perplessità la fanno sorgere. E quindi, ancora una volta, sono i controlli a dover fare la differenza. In che modo? Andando oltre la regolarità di un’etichetta, oltre la dimensione ottimale del font di scrittura, oltre il corretto calcolo delle calorie per 100 grammi di prodotto, oltre il giusto termine minimo di conservazione e dimostrando di saper leggere quello che le etichette non dicono, perché gli interessi economici in gioco rischiano di sbilanciare la qualità degli alimenti lontano dalle tutele reali del consumatore. Del resto, la ratio stessa del regolamento Ue n. 1169/2011 è quella di “stabilire le basi che garantiscono un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, (…) garantendo al tempo stesso il buon funzionamento del mercato interno” (art. 1). Il termine “etichetta” deriva dalla parola spagnola etiqueta, con cui per molti secoli si era indicato il cerimoniale di corte. Stare all’etichetta significava semplicemente attenersi alle regole di un comportamento e solo in seguito la parola passò a designare anche il mezzo per descrivere correttamente le caratteristiche di un prodotto, trasferendo in questo ambito l’importanza del rispetto delle regole. Come a dire che, in fondo, è pur sempre una questione di etichetta!”

Fonte: “30giorni” – Settembre 2015 – Autore: Avv. Daria Scarciglia

link al vademecum sulla nuova normativa della camera di commercio di Reggio Calabria

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