A Sant’Angelo in Vado, piccolo comune dalle antiche origini romane che oggi conta 4000 anime, per la festa del Tartufo, gli abitanti della cittadina affittano gli spazi del minuscolo centro – le antiche cantine dalle volte in pietra, i laboratori e i magazzini d’altri tempi, una volta occupati forse da qualche artigiano che fabbricava oggetti o attrezzi che oggi si comperano solo al supermercato e provengono dalla Cina.
Luoghi con le spesse mura in pietra e dove sopravvivono ancora gli antichi alti camini che erano il riscaldamento di quella volta. Luoghi dal sapore antico che nel week end della fiera riprendono vita per ospitare mescite e cucine dove le massaie – anziane signore, ma anche maestre, infermiere e impiegate – per la fiera vestono i panni delle cuoche e cucinano piatti casalinghi tipici della provincia di Pesaro e Urbino, con l’aggiunta generosa e abbondante di tartufo fresco.
“Ci sono più cercatori di tartufo che tartufi”- commenta l’oste di un “temporary” bistrot – in realtà impiegato in un piccolo supermercato – seduto in una piazzetta, davanti all’ingresso di un antro affollato dove troneggia un antico camino in pietra. “Certo, quest’anno di tartufo se ne trova poco, mica come l’anno scorso, e i prezzi sono alle stelle”.
Raccogliere tartufi è un’arte che qui sulle colline si apprende nell’infanzia, dai nonni e dai padri- ci racconta invece Vittorio – e allo stesso modo si tramandano le zappette da tartufi e si custodiscono gelosamente i sentieri dei luoghi segreti dove si sono scovati i preziosi tuberi. Ci si immerge nel profumo umido dei boschi, in silenziosa armonia con la natura e con il proprio cane.
Con la crisi che stritola, raccogliere tartufi aiuta anche a sbarcare il lunario e il “cercatore di tartufo” diventa un po’ anche un mestiere. Serve però tanta esperienza, e un bravo cane. Qui sono in molti gli esperti della raccolta, che – col loro vanghetto, di legno o di metallo duro, ricavati da pezzi di vecchie 500 Fiat ormai quasi introvabili, e in compagnia del fedele ed ubbidientissimo cane – formano il team perfetto e cercano il profumato tartufo. Meglio se quello bianco, quello che non si può coltivare. Si, perché anche quelli che la tartufaia l’anno piantata – come il genero di Vittorio- e magari già da qualche anno, sanno che tanto prima di dieci anni non si formerà nulla, tra le radici di quelle giovani piante, e che comunque il tartufo atteso tra quelle radici sarà quello nero, meno profumato, e non quello bianco, pregiatissimo. Quello bianco lo si dovrà continuare a cercare nei boschi.
Quando l’uscita nei boschi è fruttuosa e si è fortunati, e il tartufo che si trova è bello grosso, lo si vende a 300 o anche a 500 euro, magari ad un ristoratore o, perché no, proprio a uno dei banchetti del centro che lo rivenderà ai turisti. Perché il tartufo, per chi lo raccoglie e lo conosce, è buono fresco, appena estratto, oppure il giorno subito dopo, prima che perda il profumo.
Spesso però il tartufo si vende col passaparola, dato che chi sono i raccoglitori di tartufo si sa sempre e molti di loro vanno per boschi, a funghi e a tartufi, da quando erano bambini. E cosi da queste parti, in mezzo all’appennino, gli appassionati di tartufo ci si allungano, in autunno, perché sanno che è facile incrociare qualcuno che sta tornando dai boschi col prezioso bottino. E’ cosi che Vittorio ha venduto qualche giorno fa due grossi tartufi appena scovati a due di passaggio..
E’ Vittorio a raccontarci che il vanghetto giusto, per smuovere la terra senza rovinare le radici, è fatto con un pezzo dell’assale della 500, di quelle vecchie, perché avevano il ferro duro e la forma giusta.
Vittorio insieme alla figlia e al genero nei giorni della festa di Sant’angelo in Vado accoglie i turisti alla “Cantina di re tartufo” e li il tartufo lo trovate per davvero, fresco e abbondante.
Ascoltandolo appare chiaro che uno degli aspetti affascinanti della ricerca del tartufo è che la sua ricerca si svolge nei boschi, nei suoi boschi, tra quei frassini, aceri, olmi, cornioli, ginestre o ai piedi di sorbi, noccioli, querce, carpini bianchi e neri, castagni, abeti, fagi, larici, noci, pini, pioppi bianchi e neri… Fra questi la quercia è il miglior simbionte, nelle sue diverse varietà, tra le quali il rovere che produce il più profumato tartufo bianco.
Sono i motivi per cui anche Emanuele, autore delle foto e giovane cercatore di tartufo di Rocca San Casciano, in provincia di Forli, ama trascorrere coi suoi cani, tra i colori e i profumi dei boschi i più bei week end d’autunno…..